Titolo: La casa di Mango Street
Autrice: Sandra Cisneros
Editore: La Nuova Frontiera
Anno di pubblicazione: 1984 (prima edizione)
Recensione di: Stefania Prandi
3 maggio 2020
Sally dice che le piace essere sposata perché adesso può comprarsi le sue cose quando il marito le dà i soldi. È felice, tranne certe volte che il marito si arrabbia e un giorno le ha sfondato una porta a calci, anche se la maggior parte del tempo è un tipo a posto. Solo che non le permette di parlare al telefono. E non la lascia guardare fuori dalla finestra. E non gli va a genio la gente che frequenta e così nessuno riesce a farle visita, tranne quando il marito è al lavoro. Lei se ne sta seduta dentro casa, perché ha paura di uscire senza il permesso del marito. E si rimira tutte le cose che possiedono: gli asciugamani e il tostapane, la sveglia e le tende. Le piace guardar le pareti, il modo preciso in cui gli angli s’incontrano, le rose del linoleum sul pavimento, il soffitto liscio come la torta nuziale”.
La casa di Mango Street di Sandra Cisneros, considerata la più importante scrittrice statunitense della letteratura chicana e vincitrice prestigiosi riconoscimenti (le borse di studio della MacArthur Foundation nel 1995 e del National Endowment of the Arts e due lauree ad honorem) è una serie di ritratti di donne, tra leggerezza, dolore e speranza. Protagonista è Esperanza, un’adolescente che vorrebbe ribattezzarsi “con un nuovo nome” che rispecchi di più il suo vero io, quello che nessuno vede. Attraverso gli affreschi che raccontano di sé e degli altri abitanti della strada dove vive, Esperanza ci fa entrare nel segreto delle case e delle vite delle altre, dove il divario di genere e la violenza familiare pur essendo una costante, ineludibile e ineluttabile, non fermano i sogni. Come quelli di Marin, che indossa gonne corte e che dei begli occhi. Marin, che “alla luce del lampione, balla da sola e canta sempre la stessa canzone, dovunque sia e aspetta che si fermi una macchina, che cada una stella, che qualcuno le cambi le vita”. Come quelli della protagonista che, giura a se stessa, un giorno avrà una casa tutta sua, dove scrivere e dove pensare, libera, ma non si scorderà chi è e da dove viene. “Una casa tutta mia: mica un appartamento. Di sicuro non un appartamento sul retro. Non la casa di un uomo. Non voglio fare la mantenuta. Ma una casa tutta mia. Con il portico, un cuscino su cui riposare e le mie preziose petunie color porpora. I miei libri e i miei racconti. Il mio paio di scarpe pronte accanto al letto. Nessuno contro cui agitare il bastone. Nessuno a cui stare dietro e rimettere a posto le sue cose. Solo una casa silenziosa come la neve, uno spazio in cui rifugiarmi, pulito come la carta prima di scriverci una poesia”.
Perché è importante leggerlo. Perché ci ricorda il sapore della leggerezza, attraverso la bellezza delle parole. Ci ricorda chi siamo e chi siamo diventate. E con una carezza, che arriva mentre scorriamo le pagine, che raccogliamo quasi di sfuggita, ci ricorda chi possiamo ancora essere.
L’autrice della recensione. Stefania Prandi, giornalista professionista e fotogiornalista, si occupa di questioni di genere, lavoro, diritti umani, società e ambiente. Ha scritto il libro Oro rosso (Settenove)